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LOS ANGELES  1984

Dopo l’attacco terroristico del 1972 a Monaco ed il disastro finanziario di Montreal del 1976 solo Los Angeles chiede di ospitare le Olimpiadi del 1984. E per la prima volta a partire dal 1986, i Giochi sono organizzati da gruppi privati commerciali; e questa nuova impostazione (all’inizio ampiamente criticata) sarà alla fine, (di fronte ad un utile di oltre 200 milioni su una spesa di 500 milioni di dollari), il modello organizzativo da imitare per il futuro. Commesse private, diritti televisivi, pochi investimenti sull’impiantistica sportiva, sponsorizzazioni, ridurranno di molto il budget previsto; sugli impianti sportivi, per esempio, sarà costruito – sempre da privati - solo il velodromo sulle colline di Dominquez ed un complesso per il nuoto. Il vecchio stadio olimpico, costruito nel 1923 e che era stato utilizzato anche per le Olimpiadi del 1932, sarà completamente rinnovato.
Dopo il boicottaggio degli USA alle Olimpiadi di Mosca, avvenuto quattro anni prima, era scontato che l’URSS avrebbe organizzato un boicottaggio analogo a quello americano. Tutto comincia con una lettera datata 22 aprile ‘82 in cui il Comitato Olimpico russo fa presente al nuovo Presidente del CIO, Juan Antonio Samaranch che “ Los Angeles non ha ancora inviato al CIO le garanzie in merito alla sicurezza degli atleti, violando palesemente le disposizioni della Carta Olimpica”; si tratta ovviamente di scuse, per gettare le basi per una rinuncia motivata da parte dei russi! E così interviene sia il CIO sia il nuovo Presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, che, in un discorso ufficiale nel gennaio 1984, riafferma “che la Carta Olimpica sarà rispettata”. I negoziati dei mesi seguenti portano comunque ad un irrigidimento da parte del paese comunista, che, (nonostante un incontro tripartito tra rappresentanti del CIO, russi ed americani a Losanna il 24 aprile ’84), comunica la sua rinuncia (per motivi di sicurezza, per paura di non rispetto agli atleti sovietici, per timore di manifestazioni anticomuniste, per mancate garanzie sull’ormeggio di navi russe …).
E con l’URSS si schierano altri 13 paesi dell’Est.
fotoAlla fine saranno 19 i paesi assenti di fronte però a 140 paesi partecipanti! Ma le nazioni mancanti erano di fatto quelle che avevano guadagnato il 58% degli ori nel 1976!
Solo nel sollevamento pesi mancano 29 dei 30 premiati nell’ultima edizione, inclusi tutti i vincitori di medaglie d’oro mentre la lotta libera ne perde 23 su 30.
A parte i Paesi assenti, si nota comunque qualche faccia nuova: la Cina Popolare, assente dal 1932, invia una delegazione di 200 atleti, che guadagneranno ben 15 medaglie d’oro; il Djibouti è rappresentata da tre grandi maratoneti, il Bhoutan da sei arcieri (tre uomini e tre donne), e la Costa d’Avorio dal suo eroe nazionale, Gabriel Tiacoh (medaglia d’argento sui 400 metri).
Malgrado il boicottaggio, la buona volontà prevale a tal punto che durante la cerimonia di apertura (con il giuramento pronunciato da Edwin Moses) gli atleti rompono i ranghi e si mescolano in una danza spontanea, cosa solitamente riservata alla cerimonia di chiusura.
La cerimonia ha sapore hollywoodiano con l’atterraggio spettacolare di un uomo volante, sostenuto da un propulsore a razzo, lanciatosi dalla torre del Coliseum.
Portata da 3436 atleti la fiamma olimpica ha attraversato 33 Stati ed ha percorso oltre 15.000 chilometri si strada. Al suo arrivo allo stadio è portata dalla nipote del grande campione americano dei giochi de Berlino, Jesse Owens. Poi la fiamma viene passata nelle mani di Rafer Johoson, campione del decathlon ai Giochi di Roma del 1960, che accende il braciere olimpico.
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Nell’atletica mancano i lanciatori sovietici e le atlete della DDR, ai vertici soprattutto per pratiche sospette. Ma, sempre nell’atletica, l’attenzione viene polarizzata dal ventitreenne Carl Lewis che vincendo l’oro nei 100, 200, 4X100 (record mondiale) e salto in lungo eguaglia il mitico Jesse Owens di Berlino ’36; personaggio estroverso che ha fatto parlare di sé anche nel mondo della musica e della moda, Lewis metterà al collo nella sua carriera olimpica ben nove medaglie d’oro oltre ad una d’argento (a cui si devono aggiungere ben otto titoli iridati e due primati mondiali) eguagliando anche il record di Al Oerter (quattro ori in quattro olimpiadi nel disco) dopo aver vinto a Los Angeles, a Seul, a Barcellona, ad Atlanta nel salto in lungo, senza però battere il record del mondo della specialità, da lui tanto inseguito. Il “figlio del vento” qui a Los Angeles scenderà in pedana ben tredici volte in nove giorni e nella sua carriera scenderà sotto i 10 secondi nei 100 metri 15 volte superando nel lungo gli 8,53 per 71 volte! Altro atleta comunque applaudito è Edwin Moses, assente a Mosca per boicottaggio, che ripete, dopo otto anni, il successo di Montreal nei 400 ostacoli. Anche la Gran Bretagna si ripete con Sebastian Coe nei 1.500 (sul connazionale Steve Cram ma ancora secondo come a Mosca negli 800) e con il decatleta Francis Thompson. I 5.000 sono appannaggio del marocchino Said Acuita mentre nella maratona trionfa un atleta portoghese, “nonno” Carlos Lopes, di 37 anni: il più vecchio vincitore della specialità. Tra le donne la più veloce sui 100m. è la statunitense Evelyn Ashford mentre la compagna, la bella Valerie Brisco-Hoocks, vince 200 e 400 metri (prima atleta) e la staffetta 4X400. Cinquantasei anni dopo che i medici avevano affermato che “le donne che correvano gli 800 metri diventavano vecchie troppo in fretta” al programma olimpico viene aggiunta la maratona femminile ed i 400 ostacoli. Nella gara più lunga si impone l’americana Joan Benoit sulla norvegese Grete Waitz (con un drammatico arrivo per la svizzera Adersen-Schiess che, disidratata, resterà due ore priva di conoscenza) mentre sugli ostacoli vola la marocchina Nawal El-Moutawakel. Sfortunata la prova della favorita, l’americana Mary Decker, nei 3.000 metri, che coinvolta in una caduta dall’inglese sudafricana Zola Budd, -che corre a piedi nudi-, vedrà la medaglia d’oro al collo della romena Maricica Puica. Nel salto in alto, dodici anni dopo aver vinto a Monaco ’72, all’età di 16 anni, con record come più giovane atleta su pista e su prato, la tedesca occidentale Ulrike Meyfarth riconquista l’oro, diventando la più anziana atleta a vincere in quella specialità.
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Altri eventi femminili introdotti sono la corsa ciclistica su strada (vinta dall’americana Conie Carpenter- Phinney), la ginnastica ritmica individuale (vinta dalla canadese Lori Fung) ed il nuoto sincronizzato, dominato dalle americane (due ori su due prove).
Il canadese Hans Marius Fogh (alla sua sesta Olimpiade) vince il bronzo nella vela categoria “soling” dopo aver guadagnato la sua prima medaglia (argento) con i colori della Danimarca nella classe “Flying Dutchman” nel 1960.
Per la prima volta sono ammessi i professionisti nel calcio, purché non abbiano partecipato alla Coppa del Mondo; in una finale vivacissima, presenti oltre 100.000 spettatori, la Francia supera il Brasile per 2 a 0.
Nel tiro con l’arco, la neozelandese Neroli Fairhall gareggia su una sedia rotelle risultando la prima atleta paraplegica a prendere parte ad una competizione olimpica.
Anche il nuoto soffre della mancanza delle atlete dell’Est sempre in primo piano nelle ultime edizioni anche se fortemente sospette. Nel campo maschile si mette in mostra lo statunitense Ambrose Gaines oro nei 100 metri, che dopo l’abbandono delle gare negli ultimi anni, ritorna per vincere, cosa che puntualmente avviene. Il più medagliato risulta però l’americano Rick Carey, che fa riporta l’oro nei 100 e 200 dorso e nella staffetta. Altri due atleti che si mettono in luce sono il tedesco dell’Est Michael Gross (Albatros per le braccia lunghissime) con due ori (record mondiali) e due argenti ed il canadese Alex Baumanoe con due ori (record mondiali). Nella finale 400m. il vincitore della serie che andava dal 9° al 16° posto (il tedesco occidentale Thomas Fahmer) realizza un tempo (3:50.91) inferiore a quello del vincitore della serie che andava dal 1° all’8° posto (il vincitore olimpico americano Gorge Di Carlo) che aveva ottenuto anche il record olimpico.
fotoEd in questa Olimpiade furono ben 12 gli atleti trovati positivi ai test sul doping; tra cui l’italiano Gianpaolo Urlando; la Commissione CIO funzionava come poteva, ma otteneva, anche lei, qualche vittoria.
Sicuramente favorita dal boicottaggio, l’Italia conquista ben 14 medaglie d’oro. E dall’atletica ne arrivano ben tre con Alberto Cova, Alessandro Andrei e Gabriella Dorio che si affermano rispettivamente nei 10.000m., nel lancio del peso e negli 800 m.
Mancando il tedesco dell’Est Werner Schildhauer (suo diretto avversario agli europei nell’82 ed ai mondiali dell’83, peraltro sempre battuto), Alberto Cova vedeva come antagonista il portoghese Fernando Mamede, recordman mondiale a Stoccolma nell’84. Questi, che aveva spesso mancato i grandi appuntamenti per questione di nervi, non regge e si arrende anche in questa finale. E sarà così il finlandese Martti Vainio il diretto contendente, che impegna fino alla conclusione Alberto; Vainio sarà poi squalificato per doping, permettendo al nostro Antibo (solo quinto per problemi derivati da un nuovo paio di scarpette, usate inopportunamente) di risalire al quarto posto.
Andrei , poliziotto fiorentino riesce dopo un epico duello a prevalere sul coriaceo e poliedrico Michael Carter, atleta americano che dopo sei giorni dalle Olimpiadi partecipa e vince ai Super Bowl con il San Francisco 49ers’.
Per la Dorio la gara si presenta sicuramente in discesa, vista l’assenza della sovietica Kazankina, già vincitrice delle due ultime edizioni dove la Dorio si era classificata sesta e quarta, anche se il ruolo di favorite spettava alle romene Maricica Puicae e Doina Melinteva; ma la Dorio per nulla intimorita, rovescia ogni pronostico e mette al collo la medaglia più prestigiosa della sua carriera. E qui nell’atletica, sfortuna per Sara Simeoni che incontra nella sua strada la tedesca Ulrike Meyfarth già vincitrice a Monaco dodici anni prima, mentre è solo settimo Pietro Mennea, per guai muscolari.
Anche dalla scherma (che vede protagonista il padovano Marco Marin), assenti i paesi dell’Est, tre ori con Mauro Numa nel fioretto, con la squadra di fioretto (Numa, Borella, Cipressa, Cerioni, Scuri) e con la squadra di sciabola (Marin, Dalla Barba, Scalzo, Meglio, Arcidiacono), cui seguono argenti (Marin), e bronzi (Cerioni, e la squadra di spada).
Anche dal canottaggio arriva un oro nel “duo con” con i fratelli Abbagnale timonati da Peppino di Capua, che faranno in seguito parlare a lungo di loro. E dal ciclismo altro oro da Marcello Bartalini, Marco Giovanetti, Eros Poli, Claudio Randelli che stravincono con un distacco, di oltre quattro minuti, nella 100 chilometri a squadre.
Addirittura en plein nel pentathlon moderno ove il poliziotto romano Daniele Masala è primo con Carlo Massullo terzo; entrambi saranno ancora d’oro nel concorso a squadre. Nella lotta greco romana fa il vuoto, nei minimosca, Vincenzo Maenza, mentre si riconferma nel tiro a volo dalla fossa olimpica, Luciano Giovanetti.
In altri sport ancora medaglie dalla bolzanina Edith Gufler (argento tiro carabina aria compressa), dal duo Gorla Peraboni (bronzo vela classe “star”), da Ezio Gamba (già oro a mosca nello judo, qui solo bronzo) e da Luca Scribani-Rossi (bronzo nel piattello skeet).