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ROMA 1960 

I giochi, a Roma, dovevano svolgersi ancora nel 1908; a quell’epoca Coubertin aveva puntato molto su questa città: ”ai Romani il compito di darci ora l’Olimpiade tipo e di riaprire il tempio dello sport agli antichi compagni della sua gloria”. Agli occhi di Coubertin la Città eterna sarebbe diventata teatro naturale di una “olimpiade artistica”. In ragione di innumerevoli difficoltà, sorte in seguito all’eruzione del Vesuvio, Roma fu obbligata a cedere i Giochi a Londra. Ma ora le condizioni si erano normalizzate ed il CIO, fin dal 15 giugno ‘55 nella Sessione di Parigi, aveva votato a favore della capitale d’Italia (con 35 voti contro Losanna che ne aveva avuti 24) grazie anche al lavoro costante e meticoloso di Giulio Onesti e di Bruno Zauli, rispettivamente Presidente e Segretario del CONI.
l pronostici, che aveva fatto Coubertin più di mezzo secolo prima, si rivelano giusti. Si assiste in effetti in questa città, ricca di passato e di storia, ad una unione stretta tra sport e cultura.

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Molte prove si svolgono in luoghi leggendari dove i Romani avevano praticato le proprie competizioni sportive, circa 2.000 anni fa. I combattimenti di lotta trovano sede nelle imponenti rovine della Basilica di Massenzio, così come le vestigia delle immense Terme di Caracalla servono di scenario alle competizioni di ginnastica, mentre la Maratona accompagna i suoi corridori dalla Capitale all’Arco di Costantino passando sulla via Appia.
Molti gli impianti sportivi appositamente costruiti, tra cui lo Stadio Olimpico, lo Stadio Flaminio, il palazzetto dello Sport, lo stadio dei Marmi, la zona sportiva dell’ Acquacetosa, il centro dell’EUR, il velodromo olimpico, oltre all’ammodernamento di impianti minori che serviranno per allenamenti specifici. Sono impianti moderni e razionali, che danno un tono architettonico d’avanguardia gettando un ponte tra antichità e modernità. Le prove veliche si disputano invece nel golfo di Napoli su tre campi di regata e sono aperte a cinque classi: 5,5; dragone; flying dutchman; star, finn.
FOTOLa fiaccola olimpica, accesa ad Olimpia il 12 agosto, viene portata in Italia, via mare, con la nave scuola “Amerigo Vespucci”; sbarca a Siracusa il giorno 18 e raggiunge Roma il 25 agosto con una staffetta di 1199 atleti: primo teoforo è Concetto Lo Bello, ultimo Giancarlo Peris, sconosciuto mezzofondista di Civitavecchia, che accende il tripode olimpico.
Anche il villaggio olimpico, dotato di banca, negozi, dieci mense, ufficio postale, accoglie, in modo estremamente confortevole e lussuoso, più di 5.000 atleti venuti da 84 paesi (solo in questo centro l’organico del personale addetto comprende oltre 2.800 addetti).
Un cittadino etiope, Abele Bikila, è il primo a raggiungere il traguardo della Maratona sotto l’Arco di Costantino. Venticinque anni prima, da questo stesso posto, Mussolini, aveva chiamato gli Italiani alla guerra contro l’Etiopia. La vittoria di Bikila, riportata a piedi nudi sul pavé dell’Appia Antica (con nuovo record olimpico), FOTOè simbolo di risveglio sportivo di una Africa che si stava liberando dalle catene coloniali. L’atleta, che pesa 61 kg. per 1,75m. di altezza, si è allenato in alta quota e alla fine della gara così commenterà: “noi siamo un paese povero e non siamo abituati ai mezzi di trasporto meccanizzati e ci spostiamo sempre al passo di corsa; per me 26 miglia non sono niente e avrei potuto correre molto di più”. Dopo la vittoria riprenderà il suo posto di guardia reale al Palazzo di Adis Abeba. Quattro anni più tardi parteciperà di nuovo, questa volta come uomo da battere, e riuscirà ancora una volta a spuntare l’oro.
Tra le atlete di eccezione di questi Giochi, una americana, Wilma Rudolph, con uno stile di ineguagliabile eleganza, vince tre medaglie di oro nei 100m., 200m., e staffetta 4X100m., (realizzando anche il record nei 100m. con 11 secondi netti, record peraltro non omologato a causa del vento). Si tratta di vittorie miracolose per questa donna che è stata vittima della poliomielite durante la sua infanzia e che ha passato sette anni all’ospedale; diciassettesima figlia di diciannove fratelli solo dopo i dieci anni aveva cominciato a camminare quasi correttamente, ma a sedici faceva già parte della squadra nazionale americana. Gli italiani la battezzano “la perla nera” mentre per i francesi sarà ”la gazzella nera”. Le atlete sovietiche raccolgono sei delle dieci medaglie d’oro (con le due sorelle Press che vincono gli 80 ostacoli ed il lancio del peso) e avrebbero dominato tutte le prove d’atletica senza la romena Iolanda Balas, che vince l’oro nel salto in alto superando 1,85m.; nel corso dei dieci anni seguenti stabilirà 14 record mondiali. E si rivede dopo otto anni la moglie di Zatopek, Dana Ingrova, seconda nel lancio del giavellotto.
FOTOSempre per l’atletica sono momenti negativi per gli atleti a stelle e strisce che, nelle gare veloci, non vedono per la prima volta nessun atleta sul gradino più alto del podio. Armin Hary, eccezionale sprinter tedesco, dotato di tempi dei reazione esplosivi, dopo una falsa partenza scatta come una scheggia e va a prendersi l’oro nei 100 m. bruciando l’americano Dave Sime. Farà il bis nella staffetta 4x100, trascinando tutta la squadra. Anche i 200m. sono una brutta sorpresa per gli atleti USA, che avevano sempre vinto in questa specialità. A siglarla è un giovane ventunenne studente padovano, Livio Berruti, che sotto una vera ovazione di cinque minuti mette al collo la più prestigiosa delle medaglie olimpiche. Dopo una semifinale difficile, che lo vede però vincitore, e che aveva visto l’esclusione del fortissimo britannico Radford, Berruti si presenta ai blocchi nella finale senza prima essersi riscaldato nel paddock, con i migliori (“non sono entrato nel recinto, non per snobbismo, ma perché avevo paura; e questa è stata la molla che mi ha poi spinto alla vittoria” – dirà in seguito). Per l’Italia è la prima medaglia d’oro olimpica nella velocità e dopo cinque olimpiadi spetterà a Mennea il compito di rinnovarla. Trenta anni dopo, durante un incontro tra vecchie glorie, dirà Berruti “eravamo un gruppo di amici con tanto entusiasmo e voglia di partecipare, di fare esperienze; eravamo cittadini del mondo e fratelli di tutti; anche gli allenatori forse non erano preparati scientificamente e psicologicamente ma erano veri compagni. Ora gli atleti nascono in laboratorio”.
Altra gara di notevole intensità è la corsa dei 400 piani ove piombano sul traguardo contemporaneamente lo statunitense Otis Davis (poi vincitore) ed il tedesco Carl Kaufmann con lo stesso tempo (44”9) che è anche nuovo record del mondo. Un altro Davis, Glenn, vince e si conferma dopo Melbourne, nei 400 ostacoli, mentre Al Oerter si ripete nel disco. Sempre nell’atletica grande impressione riscuote l’australiano Herbert Elliott che vince i 1500m. con un vantaggio di oltre tre secondi su Michel Jazy, fissando un nuovo incredibile record del mondo; dotato di eccezionali qualità e sottoposto ad allenamenti durissimi “le gare per me risultano uno scherzo” dopo l’oro di Roma, appagato, si ritira.
Le prove di pugilato hanno luogo nel nuovo, moderno Palazzetto dello Sport dove il pubblico crea effetti speciali facendo bruciare torce di carta. Cassius Clay, che aveva cambiato il suo nome in Mohammed Alì dopo essere entrato a par parte dei Musulmani Neri, all’età di soli 18 anni, guadagna il titolo olimpico nella categoria medi-massimi. Di seguito sarà per ben 22 volte campione del mondo. Con il suo fare da spaccone, antipatico ai più, si era rifiutato nel ’67, in piena guerra con il Vietnam, di entrare nell’esercito, subendo la condanna per cinque anni (poi ridotta a tre) e la perdita del titolo mondiale. Eletto anche “campione del secolo” da una giuria internazionale, colpito dal morbo di Parkinson, ha vissuto una giornata di grande commozione come ultimo teoforo ai giochi di Atlanta.
FOTOMa chi desta ancora grande impressione, sempre nel pugilato, è un altro italiano, che farà in seguito parlare molto di se: si tratta di Nino Benvenuti. Dotato di grande tecnica, qui a Roma, all’ultimo momento, decide di passare dalla categoria superwelter alla categoria welter perdendo quattro chili; questo sacrificio non gli impedirà di vincere mostrando doti cristalline che lo accompagneranno per il resto della carriera.
I lottatori si affrontano tra le rovine della Basilica di Massenzio; la squadra turca quasi monopolizza gli incontri e conquista sette medaglia d’oro. Nella prova di lotta libera - 62 Kg.- Mustafa Dagistanli stacca l’oro, cosa che aveva già fatto a Melbourne, ma nella categoria dei 57 Kg.

La Nuova Zelanda vince due medaglie d’oro ad un’ora di distanza, grazie a Murray Halberg nei 5.000m. ed a Peter Snell negli 800m.: rimarchevole esempio per un paese di appena tre milioni di abitanti.
Questi Giochi segnano anche la fine della supremazia dell’India nell’hockey prato, battuta dal Pakistan in finale per 1 a 0.
L’Inghilterra ottiene una sola medaglia di oro, con Don Thompson, nei 50Km. di marcia; gli italiani soprannominano questo atleta di piccola taglia “il topolino”; atleta che si era acclimatato al caldo di Roma, con bagni prolungati di acqua    semi bollente!
Le vecchie Terme di Caracalla sono state restaurate e modificate per accogliere 5.000 spettatori. I ginnasti sovietici vi danno un grande spettacolo sia in campo maschile che femminile: nel primo Boris Shakhlin va a medaglie in sette delle otto gare disputate (4 vittorie, 2 secondi ed un terzo posto) e nel secondo riportano 15 delle 18 medaglie grazie soprattutto a Larissa Latynima, atleta che alla fine della sua carriera avrà al collo ben 15 medaglie olimpiche, record assoluto.
Ma se tutto va per il meglio, lo si deve anche al CIO che deve intervenire in sede “politica” per superare più situazioni di difficile gestione internazionale.
Le due Germanie partecipano, su forte pressione del CIO sotto la stessa bandiera (con i colori nero, giallo, rosso ed i cerchi olimpici) in quanto la domanda di ammissione della RDA al movimento olimpico era stata ancora una volta respinta.
E la Cina Popolare Cinese che protesta perché la repubblica di Taiwan porta, ufficialmente, il nome “CINA” nel mondo sportivo mondiale, dopo aver definito il presidente del CIO Brundage “marionetta dell’imperialismo americano”, si ritira, nel maggio del ‘58, dal movimento olimpico. Anche Taipei però non è contenta in quanto si era vista imporre la sostituzione da parte del CIO della parola “cinese” con “Taiwan” e sfila, mostrando in segno di disapprovazione, il cartello “sotto protesta”.
Altra questione, sempre sopita ma ormai in fase di esplosione, riguarda l’apartheid (discriminazione e segregazione razziale) soprattutto per il Sud Africa. Il caso scoppia durante la Sessione della Commissione Esecutiva di Roma del ‘59, dopo che per decenni era stato trattato in modo blando, quando il rappresentante russo, Romanov, attacca apertamente il Sud Africa. E le pronte garanzie da parte di quest’ultimo paese sulla partecipazione anche di persone di colore, saranno smentite in modo sfacciato perché a Roma, la squadra sudafricana è completamente bianca; sarà questa l’ultima comparsa del Sud Africa, che sarà in seguito radiato fino alle olimpiadi di Barcellona.
FOTOA parte questi problemi che attanaglieranno sempre di più il movimento olimpico, rispecchiando la guerra fredda ormai in atto tra i due blocchi continentali, vi sono anche momenti di grande generosità quando il Cile, colpito all’inizio degli anni ’60 da un grave terremoto, vede i suoi atleti ospitati dal CNO francese e da quello italiano.
All’Olimpiade di Roma, non viene trascurato l’aspetto culturale ed il “Comitato per l’arte” approva manifestazioni sia di attività motoria storica (gioco del calcio fiorentino, gioco del ponte di Pisa, palio dei balestrieri, giostra della Quintana di Ascoli e di Foligno) sia di natura artistica – lo sport nella storia e nell’arte - con mostre permanenti di fotografia, di pittura e scultura con materiale proveniente da tutto il mondo.
Anche il poster ufficiale dei Giochi ha una sua storia. Rappresenta il noto “capitello del Belvedere” che orna i palazzi del Vaticano e proviene da una delle monumentali colonne delle palestre delle Terme di Caracalla; nel capitello è raffigurata la scena dell’apoteosi di un atleta vincitore, che, secondo il rito romano, si incorona con la mano destra e regge con la sinistra la palma della vittoria. E’ opera del cartellonista torinese Armando Testa; travagliato vincitore di un alquanto discusso concorso.
E la medaglia commemorativa è opera del grande scultore Emilio Greco, mentre quella destinata ai vincitori resta invece, in ossequio alle decisioni del CIO, quella adottata fin dalle Olimpiadi di Amsterdam del 1928, che era stata creata dal prof. Giuseppe Cassioli di Firenze e adottata anche nelle successive Olimpiadi.
Per l’Inno Ufficiale, dopo aver vagliato molte nuove composizioni, senza peraltro averne trovata alcuna che rispondesse alle esigenze richieste, il “Comitato per l’Arte” accetta le disposizioni del CIO che indicava come Inno Ufficiale quello della prima Olimpiade di Atene 1896 musicato da Spiro Samara su parole di Kostis Palama.
E Roma vivrà in modo drammatico anche il primo momento di un fenomeno altamente negativo che andrà sempre più diffondendosi e che vedrà impegnato, in futuro, anche il CIO in una impossibile battaglia. Alla fine della gara, che inaugura tra l’altro l’olimpiade, la prova a squadre dei 100 chilometri di ciclismo, il corridore danese Knut Enemark Jensen, crolla a terra e muore qualche ora più tardi all’ospedale. L’analisi medica parlerà di morte per assorbimento di prodotti stimolanti: è il doping che, ufficialmente, si affaccia sulla scena internazionale!
Resta da ricordare infine, che ad una settimana di intervallo dai Giochi olimpici si sono svolti a Roma i Giochi olimpici per portatori di handicap, i giochi di Stoke Mandeville, fondati da Sir  Ludwig Guttmann. Anche se erano riservati esclusivamente ad invalidi in carrozzina, questi Giochi sono considerati i primi Giochi Parolimpici.
FOTOPer l’Italia oltre che da Nino Benvenuti e da Livio Berruti altri momenti esaltanti vengono dal ciclismo con la vittoria della 100 chilometri (con Forconi, Bailetti, Cogliati e Trapè) seguita dalle due medaglie di Sante Gaiardoni (velocità e chilometro da fermo) , con la vittoria del tandem di Beghetto e Bianchetto, seguiti da bronzo di Gasparella e dall’argento, per un soffio, di Livio Trapè nella prova in linea su strada. Con Benvenuti salgono sul gradino più alto anche il piuma Francesco Musso ed il gigante Francesco De Piccoli nella categoria massimi; in questo sport argenti arrivano da Primo Zamparini, Sandro Lopopolo e Carmelo Bossi mentre è bronzo per Giulio Sabaudi nella categoria vinta da Cassius Clay. Anche la ginnastica presenta attimi eccitanti con l’argento di Giovanni Carminucci, il bronzo di Franco Menichelli ed il bronzo della squadra nel concorso completo. Si conferma la scherma ove Giuseppe Delfino, alla “tenera età” di 39 anni ed Edoardo Mangiarotti (non di meno con i suoi 41 anni), con un gruppo di grande valore (Carlo Pavesi, Fiorenzo Marini, Gianluigi Saccaro, Alberto Pellegrino) danno grande spettacolo e medaglie. Mangiarotti, che conclude qui la sua carriera olimpica, potrà contare un palmares di 13 medaglie, non solo record assoluto italiano ma anche olimpico di specialità. Dopo la delusione del calcio, nello sport di squadra, gradita sorpresa viene dal settebello della pallanuoto, che, pur non essendo favorito, riesce a spuntare il primo posto. E ritorna alla grande l’equitazione ove i fratelli Raimondo e Piero D’Inzeo davanti al pubblico di casa conquistano il primo ed il secondo posto nel concorso ad ostacoli. Altri argenti e bronzi arrivano dal canottaggio, dalla vela, dal sollevamento, dalla marcia.