CURIOSITA' SULLE OLIMPIADI ANTICHE
Anche il mondo olimpico, pur avendo anche inciso nella storia comune, scandendo il tempo (i fatti, i personaggi, le ricorrenze trovavano riferimento come data nella cronologia
olimpica) non vedeva tutti d’accordo, ma subiva critiche anche feroci da personaggi pure importanti.
Inoltre, spesso anche gli atleti si prendevano burla delle loro imprese, a volte non proprio epiche e venivano derisi da poeti e scrittori.
Vengono, in proposito, citati di seguito alcuni scritti significativi, così come ci sono stati tramandati.
Le critiche all’atletismo greco.
Senofane. (filosofo; 565 – 470 a.c.)
Se taluno riporta una vittoria nella corsa o nel pentalto a Olimpia, dov’è il tempio di Zeus accanto al fiume di Pisa, o nella lotta; se vince il pugilato doloroso o la prova durissima che chiamano pancrazio, cresce fra i cittadino la sua gloria, ha l’onore di assistere alle gare in prima fila, riceve dallo Stato il nutrimento dalla pubblica spesa e in premio un bel trofeo. Se vince i cavalli, eguali onori.
Pure non vale quanto me: la nostra scienza ha più vigore di cavalli e di uomini.
Avventati criteri!
Non è giusto preferire alla filosofia la forza fisica.
Se c’è fra i cittadini un pugile valente, uno bravo nel pentatlo, alla lotta, o alla prova di velocità, ch’è la regina delle prove di forza nelle gare, non perciò gode la città di buon governo ed è per lei ben gramo vanto il fatto che un atleta abbia vinto a Pisa: non è questo che ingrassa i penetrali dello Stato.
Euripide (tragediografo greco: 480 – 406 a.c.)
“Quale vantaggio procura alla città patria, col premio di una corona, uno che abbia vinto nella lotta, e che sia di piede veloce, o abbia sollevato il disco o percosso con successo una guancia? Combatteranno forse contro i nemici corpo a corpo con i dischi? O senza scudo li colpiranno per cacciarli dalla patria? Nessuno vicino al ferro compie tali sciocchezze. Credo invece necessario incoronare con foglie i sapienti e gli onesti, e chiunque nel mondo migliore guiderà la città con saggezza e giustizia, e chi con i suoi racconti allontanerà le azioni malvagie, eliminando battaglie e sedizioni: ecco le belle imprese per ogni città e per tutti gli Elleni”.
Solone (secondo Diodoro Siculo: 80-20 a.c.)
“Solone credeva che i pugilatori e i corridori e gli altri atleti non contribuissero in modo degno di menzione alla salvezza dello Stato, ma che solo quelli che si distinguevano per prudenza e virtù potevano salvare i loro paesi nei pericoli”.
Le prese in giro tra atleti.
Tratto da Luciano (epigrammi).
Per un atleta.
I compagni di gara qui seppellirono
Il pugile Api;
infatti non riuscì mai a ferire nessuno.
Per lo stesso.
A quante gare di pugilato i Greci organizzano,
a tutte, io Androleo, ho partecipato.
A Pisa mi è rimasto un orecchio,
a Platea un occhio,
a Pito mi hanno portato via esamine.
Il padre Demoteles è stato celebrato insieme ai concittadini.
Dagli stadi mi portarono via o morto o monco.
Giuseppe
Barion
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Donne e sport al tempo della rivoluzione francese
Il mito di Sparta era particolarmente sentito dai teorici del giacobinismo, che vi vedevano l'incarnazione e l'esempio vivente dei principi cui aspiravano: libertà, uguaglianza, educazione comune. Ma quello che è interessante sottolineare di questo tempo è anche il riferimento alle donne in rapporto a una sana educazione fisica. Ecco cosa scrivevano a questo proposito alcuni autori: 'L'educazione pubblica de' spartani si estendeva fino alle donne, che si esercitavano del pari alla danza,alla corsa, a lottar seminude davanti alla gioventù e i magistrati, a tirar il giavellotto...." M. Galdi 1796 "..Al movimento fisico e alla ginnastica sono obbligate anche le donne che in questo modo vederebbero diminuire la tendenza naturale alla civetteria e gli slanci amorosi e passionali. Il vigore del corpo resta tutto funzionalizzato all'amor patriottico e alla generazione di cittadini.." F . .Buonarroti « Conspiration pour l'egalité dit de Babeuf « Per le giovani repubblicane era quindi vista come essenziale un'accorta attività fisica. È noto come, in linea generale, i giacobini, per quanto tendessero a riabilitare " l'esistenza civile e politica" delle donne, le confinassero ugualmente in un ruolo subalterno, in quanto "deboli e soggette ad incomodi". E se agli uomini era affidata la cura e la difesa dello stato. alle donne era delegato il compito di generare cittadini vigorosi e a questo nobile scopo doveva essere indirizzata la loro attività fisica. I frutti saranno robusti se il corpo della donna sarà più robusto. 1 ginecei saranno quindi provvisti di ampi boschi, viali e acque per la pratica della corsa, della caccia e del nuoto.. (rif G. Bocalosi 1797)
Nelle olimpiadi invece....
Nelle olimpiadi le donne avrebbero assunto un compito particolare. Diversamente che nell'antica grecia, esse sarebbero state ammesse, anche se solo come spettatrici, e sarebbero state anche premiate. Il premio, tuttavia, sarebbe andato non alla più sportiva, ma all'amante del vincitore. In questo modo esse non sarebbero state escluse dalla vita pubblica.....
"..tra i pubblici onori, che loro si dovranno concedere, utilissimo sarà quello di fare, che compajano in un luogo distinto, ed onorato ne' giuochi pubblici, per far si, che spiri più fresca, e più dolce l'aria sulle chiome degli affannati concorrenti. E sia coronata dai giudici dell'assemblea, e proseguita con applausi sopra tutte le altre colei, l'amante della quale ebbe ad ottenere la vittoria.." C. Botta 1797
La pallacorda entra nella storia della rivoluzione francese
Sabato 20 giugno 1789, sala rettangolare di rue Saint-Francois a Versailles, trecento metri quadri che quel giorno non saranno utilizzati a fine ludico.
11 gioco della pallacorda è legato a memorie scomode per i deputati del Terzo Stato, che decidono di riunirsi in questa sala per sfidare gli altri due stati. Luigi X era morto , dopo aver bevuto moltissima acqua in seguito a una partita di paume; Filippo il Bello giocava alla palla corda in una lussuosa sala del castello di Petit Nesle; Enrico IV era ancora un ottimo giocatore quando fu pugnalato a cinquantasette anni... ...
In quel giorno, ai deputati riuniti, non importa più far rimbalzare la pallina, ma contare più dei rappresentanti della nobiltà e del clero. La palestra della paume diventa il topos della politica. AI tradizionale conteggio (15-30-45-60) si sostituisce la votazione con alzata di braccia.
Nasce la rivoluzione in un luogo consacrato alla palla, al gioco, dove il gioco diventa politico e sociale..un gioco d'attacco destinato a durare a lungo...
Paola
Fracasso
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Amazzoni : in Russia è stata scoperta la tomba di una mitica guerriera.
Il mito della donna amazzone ci è stato tramandato dagli antichi e , da sempre, su di esso aleggia l’ombra del mistero; donne governanti e guerriere, crudeli e abilissime combattenti sono descritte da Omero nell’Iliade e da Virgilio nell’ Eneide.
Ma, nella realtà, questa figura femminile è mai esistita? Sembra di si, a tener conto del ritrovamento, nelle vicinanze del fiume Don(in prossimità della frontiera russo-ucraina),in una collinetta artificiale, di una tomba di una nobile guerriera. Colline come questa erano il luogo in cui i nomadi cacciatori delle steppe euroasiatiche seppellivano i loro capi con le armi e, a volte, con i cavalli. Doveva essere quindi di una regina il corpo femminile ritrovato con accanto il giavellotto, la spada, l’arco e la feretra, oltre ai resti di …sei uomini sacrificati per lei.
Paola
Fracasso
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Cenni di storia della maratona
Nel 1896, nel corso delle olimpiadi moderne di Atene, si tenne la prima maratona ufficiale della storia, che vinse il pastore greco Spyridon Louis, il quale coprì la distanza in 2 ore 58’ e 50’’. Da allora tale specialità si diffuse a macchia d’olio in tutto il mondo, a partire da Boston, nel 1897 (39,750 km), dove presero parte quindici atleti e vinse John J. Mac Dermott (New York) in 2 ore55’10’.
La classica distanza di 42,195 km venne codificata a Parigi nel 1924, in occasione delle olimpiadi che si tennero nella stessa città; sempre nello stesso anno, a Roma, nacque il primo Campionato Italiano di Maratona, che vinse Umberto Blasi con il tempo di 3 ore 07’4’’.
La diffusione della maratona fu poi alimentata quando, a cavallo degli anni 60 - 70 negli Stati Uniti d’America, esplose il fenomeno del jogging-running; le corse cominciarono ad essere considerate un fenomeno di massa, soprattutto grazie alla propaganda fatta dai mass-media.
L'etiope Abebe Bikila, precursore di un'imbattile schiera di fondisti africani, vinse la maratona delle olimpiadi di Roma nel 1960, ove passo alla storia per aver corso a piedi scalzi.
In Italia, la maratona conobbe il suo periodo d’oro soprattutto negli anni 80, grazie alla scuola ferrarese, che sforno atleti del calibro di Orlando Pizzolato, vincitore per 2 volte della maratona della Grande Mela (New York). Successivamente si mise in luce anche Gelindo Bordin, e infine il più grande maratoneta italiano di tutti i tempi: Stefano Baldini.
Le più importanti maratone al mondo vengono corse a Boston (la più antica), a New York (la più bella), a Londra (la più veloce) e a Berlino (sede dell'attuale record del mondo: Paul Tergat, 2 ore 4 minuti e 55 secondi).
Negli anni 90 molte organizzazioni sono diventate delle vere e proprie aziende commerciali, gli esempi più tipici sono rappresentati dalle maratone di New York, Londra, Chicago, Berlino, Rotterdam, Venezia e Roma.
Oggi, a più di cento anni dalla sua nascita, il movimento della maratona è in continua crescita e si sta sviluppando anche in quei paesi ove la pratica atletica è poco diffusa, come il sud est asiatico, o dove le condizioni meteo sono proibitive: Maratona dell'Antartide e Maratona delle Sabbie nel deserto tunisino.
A cura di: Lorenzo Boscariol
Bibliografia
Giorgio Malisani e Fausto Molinari – 90 anni di maratona a Ferrara – libro_maratona_2000.pdf
Prof. Antonio La Torre - PER UNA NUOVA LETTURA DELLA POTENZA AEROBICA - Atleticamente 2006 Padova
Wikipedia – Maratona
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IL MIRACOLO ROMENO: HELMUT DUCADAM E LA STEAUA BUCAREST SUL TETTO D’EUROPA.
Vittoria degli eroi del popolo o degli eroi del regime per il piacere di Ceauşescu?
Spesso non ci si rende conto di come e di quanto il mondo dello sport rappresenti una realtà che interviene, influenza, indirizza e condiziona le vicende politiche e storiche dell’umanità. Ciò si è verificato anche durante l’esercizio del potere del dittatore della Repubblica Socialista di Romania Nicolae Ceauşescu, il quale, durante il suo regime, durato fino al dicembre del 1989, è riuscito ad utilizzare gli eventi ed i trionfi sportivi, individuali e di squadra, degli atleti romeni come uno strumento di propaganda, di affermazione personale e di autoesaltazione dell’ideologia della superiorità del “perfetto uomo socialista”.
Le prestigiose vittorie, e le affermazioni internazionali ottenute negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, hanno permesso a Ceauşescu ed al suo entourage familiare e nepotista di riscuotere ulteriori consensi soprattutto agli occhi dell’opinione pubblica occidentale ed americana, che in più di qualche occasione intravide nella Romania di Ceauşescu una sorta di microsistema indipendente all’interno della “grande fratellanza” capeggiata e condotta dalla madrepatria U.R.S.S. Come non dimenticare la mancata partecipazione delle truppe romene all’invasione della Cecoslovacchia nel 1968 per reprimere la “primavera di Praga” e le velleità del “socialismo dal volto umano” di Alexander Dubček? Allo stesso modo, fece scalpore la decisione da parte romena di partecipare alle Olimpiadi estive di Los Angeles del 1984 nonostante il divieto imposto dal boicottaggio sovietico, fatto che permise a Ceauşescu di riscuotere simpatie e riguardi da parte degli Stati Uniti del presidente Ronald Reagan durante gli ultimi anni della “guerra fredda”. La prassi vuole che i Capi di Stato riescano di riflesso ad affermare e ad aumentare il proprio peso politico, la propria notorietà ed il proprio culto della personalità di fronte alle imprese sportive dei loro connazionali. Ceauşescu e la sua famiglia hanno vissuto le epopee della prodigiosa ginnasta Nadia Comaneci, probabilmente la più grande di tutti i tempi, dell’istrionico ed irriverente tennista Ilie Nastase ed il finora irripetibile trionfo onirico in Coppa dei Campioni della Steaua Bucarest dell’imbattibile pararigori Helmut Ducadam (o Duckadam) come affermazioni personali, tanto da attribuirsi i meriti e gli elogi per queste straordinarie vittorie, che rappresentano delle pagine meravigliose dell’enciclopedia della storia dello sport mondiale del XX secolo.
È proprio sul miracolo della Steaua (ed in particolar modo sulla figura del portiere Helmut Ducadam) che vorrei concentrare la mia attenzione, e per due motivi. Prima di tutto siamo di fronte ad una vittoria inaspettata ed imprevista da parte una squadra di calcio, di un gruppo di uomini e quindi si tratta di un successo collettivo e non di un singolo. Il calcio inoltre è lo sport più diffuso, conosciuto ed amato dalla maggior parte degli europei, e la Coppa dei Campioni (oggi nota come Champions League) è indubbiamente la competizione continentale di maggior interesse e prestigio per una squadra di club che vi partecipa; figuriamoci vincerla.
Occorre tornare con la memoria al 1986. Si tratta di un anno segnato dalla politica di distensione inaugurata l’anno prima dal nuovo Segretario Generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica Mikhail Gorbačëv, il quale attraverso le parole perestojka e glasnost cerca di indirizzare l’ormai secolare sistema comunista di matrice sovietica verso la via della democrazia e delle riforme economiche ispirate al decentramento e allo stimolo dell’iniziativa privata; inoltre “Gorby” si propone come il fautore del disgelo con l’Occidente per la risoluzione pacifica della “guerra fredda”. Il 1986 è anche l’anno della tragedia di Černobyl. Il 26 aprile infatti il reattore principale della centrale elettronucleare della città ucraina esplode. Dalla centrale si sollevano nubi di materiali radioattivi. Il panico prese a dilagare in tutta Europa e la Romania fu profondamente coinvolta vista l’estrema vicinanza all’attuale Stato ucraino. In quel paradossale clima di terrore e tensione la Steaua Bucarest si appresta a pochi giorni dalla finale a preparare l’incontro decisivo con lo strafavorito Barça, si tratta della partita della vita per gente semplice come i giocatori della capitale romena, abituati ad ammirare le prodezze ed invidiare il conto in banca di grandi campioni quali Platini, Maradona e Zico. Il livello di radioattività in Romania raggiunge valori di gran lunga superiori alla norma, davanti agli ospedali si formano code interminabili di persone bisognose di ricevere pastiglie di ioduro di potassio e le autorità invitano ad adottare precauzioni per i consumi di acqua e cibo. Tutto ciò avviene in un momento estremamente critico per lo Stato romeno. Ceaşescu con la sua politica autoritaria e dispotica ha messo in ginocchio il paese, il debito è alle stelle, la crisi energetica è ormai irreversibile, il popolo patisce il freddo e la fame. Mentre il leader e la sua famiglia conducono una vita lussuosa, dissoluta pensando solamente ad aumentare la propria notorietà internazionale, i romeni vivono in piena scarsità di gas, riscaldamento e luce. Di conseguenza anche negli stadi non si accendono le luci dei fari e la finale di Coppa Campioni si giocherà in notturna e i calciatori della Steaua non sono abituati alle partite serali. Per fortuna vista l’importanza dell’evento sportivo è possibile svolgere un paio di allenamenti serali nello stadio 23 agosto.
Il 7 maggio è il grande giorno, allo stadio Sanchez Pizjuan di Siviglia i “blaugrana” del Barcellona ed i “vitezistii” (giovani veloci) della Steaua Bucarest si affrontano nella finale della Coppa dei Campioni (edizione 1985/1986), chi vincerà si aggiudicherà per la prima volta nella sua storia di club il prestigioso trofeo. Il Barcellona ha i favori del pronostico, gioca in Spagna e può contare sul supporto dei suoi focosi tifosi, dispone di una squadra talentuosa, esperta e navigata che nei quarti di finale ha eliminato i detentori del trofeo della Juventus del tre volte pallone d’oro Michel Platini detto “le roi”. D’altro canto la Steaua si trova sorprendentemente in finale e ha basato le sue vittorie sul catenaccio e sul contropiede, ma ormai non ha niente da perdere e si gioca il tutto per tutto. Inoltre una vittoria della squadra della capitale romena permetterebbe a Ceauşescu di riscuotere ulteriori consensi e privilegi internazionali, ma soprattutto di rafforzare la propria leadership interna in un momento decisamente critico del paese, il cui popolo, sebbene non sia ancora pronto per la rivoluzione, sente comunque arrivare il vento nuovo del cambiamento voluto da Gorbačëv. Naturalmente è la squadra catalana che imposta e tiene il pallino del gioco ma per ben centoventi minuti (tempi regolamentari e supplementari) la Steaua crea un muro invalicabile in difesa e per gli spagnoli non c’è niente da fare. Si va perciò ai rigori ed è in questa occasione che il numero uno romeno, nativo di Semalac, distretto di Arad, si trasforma in un superportiere paratutto. Egli riesce a neutralizzare i penalties (in quell’occasione ne “bastarono” quattro) dei tiratori del Barça. Di fronte alla freddezza di Ducadam, che disse di aver utilizzato il metodo Stanislavskij per parare i rigori, fallirono nell’ordine: Alexanco, Pedraza, Pichi Alonso e Marcos. Per la Steaua segnarono Lacatus e Balint, quindi a nulla valsero le parate del portiere del Barça Urruticoechea sui tiri di Majearu e Boloni. La gioia degli eroi della “Stella” (traduzione di Steaua) è incontenibile, quasi non si rendono conto della storica impresa che sono riusciti a realizzare. Naturalmente nello stadio l’atmosfera è surreale e migliaia di tifosi del Barcellona rimangono ammutoliti, interdetti e delusi.
Per i campioni dell’est la grande festa si terrà in patria e nel frattempo si festeggia con la Coppa negli spogliatoi.
Ducadam viene definito il Superman romeno, il portiere dalle mani magiche e l’Eroe di Siviglia, quindi una serie di epiteti da far invidia e concorrenza a quelli attribuiti a Ceauşescu definito il genio dei Carpazi ed il Danubio del pensiero.
Una volta arrivati all’aeroporto di Otopeni, a circa trenta chilometri da Bucarest, 30.000 persone accolgono festanti e con tripudio i campioni d’Europa, l’entusiasmo raggiunge livelli incredibili e tutti vogliono toccare le mani miracolose di Ducadam. Siamo di fronte quindi all’epopea di una squadra che ha saputo sconfiggere i ben più accreditati avversari e stupire l’opinione pubblica. L’allenatore Jenei aveva guidato una squadra completa dal punto di vista dell’organizzazione del gioco e poteva contare su giocatori quali Boloni (dentista di professione), il regista Belodedici, che bisserà il successo in Coppa Campioni con la Stella Rossa di Belgrado nel 1991, il veloce Lacatus, che giocherà in Italia con la Fiorentina ed appunto il “taumaturgo” Ducadam.
La geografia del calcio sembrava cambiata. Nello stesso anno in cui la Steaua vinceva la Coppa dei Campioni, la Dinamo Kiev dell’inossidabile Lobanovsky (o Lobanovskij) trionfava in Coppa delle Coppe ed il sovietico Belanov vinceva il pallone d’oro.
Tutto questo mentre nell’estate l’Argentina del C.T. Bilardo e del “pibe de oro”, alias Diego Armando Maradona, trionfa ai tredicesimi campionati del mondo di calcio svoltisi in Messico dopo una partita mozzafiato con la Germania Ovest di Rummenigge.
Ed ora veniamo al punto decisivo; che cos’era accaduto a Ducadam nei giorni successivi alla notte di Siviglia e ai festeggiamenti di Bucarest? Innanzitutto occorre valutare la posizione della famiglia Ceauşescu di fronte al trionfo della Steaua, che era la squadra dell’esercito. L’opinione pubblica del mondo sportivo e politico simpatizzava per la Steaua e gli apprezzamenti aumentarono dopo la vittoria in Coppa. Per Ceauşescu era il momento ideale per attirare i riflettori su di sé, soprattutto per fare passare l’affermazione della squadra romena come una vittoria del regime comunista del quale egli era il più illustre rappresentante. Il calcio povero, modesto, genuino e prodotto del socialismo reale aveva avuto la meglio su quello milionario dei sistemi capitalisti occidentali. I romeni dovevano essere orgogliosi di quello strabiliante risultato e Ceauşescu e famiglia pretendevano di essere omaggiati ed osannati dal popolo in quanto fautori del modello vincente. Ceaşescu aveva fatto del proprio culto della personalità uno strumento incisivo per riscuotere consensi e manipolare l’attività politica in generale.
Dopo Siviglia si assiste ad un fatto piuttosto insolito. I romeni infatti ammirano ed elogiano i loro nuovi e veri eroi, quelli della “Coppa dalle grandi orecchie”. Si tratta di giocatori semplici che percepiscono stipendi bassi, che spesso esercitano un altro lavoro per vivere decentemente. Ducadam, Boloni e gli altri rappresentano la realizzazione dei sogni della gente comune, perché da uomini comuni sono diventati i campioni d’Europa. Perciò il rischio per Ceauşescu e la sua famiglia di essere messi in ombra, o in secondo piano è alto. Nessuno può permettersi di essere più famoso del Capo della Romania. Dittatore e parenti sono invidiosi dei nuovi eroi, occorre tenere la situazione sotto controllo e riportare ordine. Attraverso i metodi che gli sono più congeniali il Genio dei Carpazi riesce ad ottenere “giustizia” proprio ai danni di Ducadam.
Ora occorre valutare come effettivamente si svolsero i fatti, a distanza di più di vent’anni non c’è ancora l’assoluta chiarezza; la storia di Ducadam sembra una sorta di favola in cui l’antagonista ha la meglio sul protagonista buono ed eroico. Partiamo dalla notte del tripudio dei “giovani veloci”. Si dice che dopo la vittoria finale il re Juan Carlos di Spagna, Stato da poco facente parte (assieme al Portogallo) della Comunità Economica Europea, da grande tifoso del Real Madrid, squadra rivale del Barça, si sia complimentato con l’uomo partita della Steaua Ducadam regandogli una Ferrari (altre fonti parlano di una Mercedes). A quanto pare il baffuto portiere godette poco di questo grande dono in quanto Nicu, figlio del dittatore gliela portò via per sempre. Si racconta che, di fronte al rifiuto di Helmut di consegnare l’auto al “rampollo” del Capo della nazione, la risposta fu quella di un colpo di pistola alla mano destra di colui che sarà d’ora in poi un ex portiere di calcio che nell’86 fu eletto giocatore romeno dell’anno. Lo stesso Ducadam non sembra aver fatto alcuna denuncia per la violenza subita. Circola anche un’altra variante sullo scontro tra il figlio del Duce romeno e il superman romeno, in cui Nicu avrebbe ordinato ad alcuni uomini della famigerata Securitate, ossia la polizia politica segreta del regime, di spezzare le mani all’Eroe di Siviglia (Eroul de la Sevilla come dicono i romeni).
Dopo soli tre anni crollava il muro di Berlino, simbolo della cortina di ferro e della guerra fredda, e la dittatura in Romania terminava in modo violento con l’eliminazione fisica degli stessi coniugi Ceauşescu. Per la Romania e gli ex Stati del sistema comunista di matrice sovietica cominciava il lento processo di transizione politica ed economica verso la democrazia e la libertà. Un cammino lento ed arduo che almeno sulla carta ha portato all’adesione all’Unione Europea. Lo stesso Stato romeno è stato accolto nella grande famiglia europea dal primo gennaio del 2007.
A distanza di più di vent’anni servizi ed interviste fatte allo stesso Ducadam hanno portato alla luce nuove versioni sul triste epilogo dell’uomo di Arad. A quanto pare la fine della carriera del portierone è da attribuirsi alla semplice sfortuna. Ducadam afferma che fu un tragico incidente a porre fine al suo sogno, una caduta che gli fece sbattere violentemente il braccio destro. Sembrerebbe una cosa da niente ed invece il braccio si paralizza ed occorre precipitarsi al pronto soccorso. La diagnosi è terribile: un grumo di sangue si è spostato, l’arteria sotto la clavicola destra si è bloccata; o si interviene subito o Helmut rischia di perdere il braccio. L’intervento è lungo e complicato ma alla fine l’arto è salvo. Helmut disse di non aver mai conosciuto Nicu, definito più che altro come un patriota paranoico, e che il re di Spagna non gli regalò alcuna Ferrari. Certo una macchina gli venne regalata, ma fu una Aro 4x4, una sorta di fuoristrada, proveniente dal parco macchine delle Forze Armate di Bucarest, inoltre l’intera squadra della Steaua venne ricevuta dallo stesso Ceauşescu che premiò ogni giocatore con cento dollari. Lo stesso Ducadam sostiene che grazie ai rigori parati nella finale di Coppa, fu tempestivamente operato dalla miglior equipe medica di Bucarest.
A questo punto sorge spontaneo chiedersi quale sia la versione corretta, anche se sembra proprio quella dello sfortunato incidente. Nicu Ceauşescu, infatti, sarebbe assolutamente estraneo alla triste vicenda dell’Eroul de la Sevilla. Lo stesso Ducadam sostiene nel suo personale sito internet che il ritiro dalla sua attività di portiere è esclusivamente da imputarsi ad una grave artrite interessante il braccio destro, ed egli ribadisce la non colpevolezza ed il non coinvolgimento del figlio del dittatore di Romania. Ritengo comunque interessante fare alcune considerazioni relative alle due ipotesi sul ritiro di Helmut dal mondo del calcio. Perciò è più spontaneo od inevitabile pensare alla versione di un Ducadam preso a botte e/o colpito da uno sparo che causò la sua fine prematura di grande giocatore pronto ad un avvenire ancora più splendido, o a quella di un banale e sfortunato incidente che poteva trasformarsi in un dramma e in un incubo? La fine di Ducadam come giocatore sarebbe quindi il risultato di un’azione violenta tipica di un sistema di regime come quello romeno, in cui nessuno poteva essere venerato ed ammirato tranne la famiglia di Ceauşescu, il quale avendo il monopolio su tutti gli strumenti sociali e politici riusciva ad ottenere tale scopo? Oppure in realtà Ceauşescu si era comportato in modo corretto ringraziando direttamente i giocatori della “Stella” nazionale tributando loro elogi e complimenti e anche mettendo a disposizione di Ducadam i migliori medici per salvare una delle sue magiche mani? Se valesse la prima versione saremmo di fronte all’ennesima conferma che “il regno di Ceauşescu” si sia tradotto in un regime comunista con gli aspetti che lo connotano, e per lo più di stampo asiatico per il super culto della personalità voluto ed imposto dai leaders e coniugi romeni. D’altro canto nel caso della seconda ipotesi, ossia quella di sicuro aderente alla realtà, siamo davanti ad un atteggiamento tipico del Capo romeno, ovvero quello di sfruttare i successi degli sportivi attivi nazionali per rinforzare e potenziare la figura di leader carismatico agli occhi dei Capi di Stato europei ed extracontinentali, il quale si dimostra perciò entusiasta delle prodezze dei “perfetti prodotti” forgiati dall’industria socialista e dal reparto dell’officina del comunismo nazional-romeno.
Il mistero della fine di Ducadam come giocatore è sicuramente di grande interesse e curiosità perché dimostra chiaramente come calcio e potere si mescolino inevitabilmente. Vi sono altri esempi che possono comprovare lo stretto connubio tra politica sportiva e politica di Stato a livello economico e sociale. Non solo, attorno allo sport, ed in particolare modo al calcio, si muovono molteplici interessi e si verificano situazioni estreme e peculiari di ispirazione religiosa, razzista, xenofoba, in casi estremi bellica. Calcio e sport per l’uomo comune, come il tifoso, e per gli uomini di potere, rappresentano anche gli ambienti ideali per la realizzazione dei piccoli desideri, dei grandi sogni e progetti, come pure il verificarsi di terribili situazioni estreme connotate da corruzione, violenza, avidità di guadagno, smania di superprotagonismo. Riporto qualche esempio come quello di Željko Ražnatović, più noto come la tigre Arkan. Fu il capo ultrà della Stella Rossa di Belgrado e comandante di un gruppo paramilitare che compiva spedizioni punitive contro croati e bosniaci, rappresentando perciò un potente strumento di guerra a disposizione del leader Slobodan Milošević impegnato nella realizzazione della “Grande Serbia”. E come non dimenticare che grazie al successo casalingo della nazionale argentina nella Coppa del Mondo del 1978 il dittatore Videla ottenne ulteriori consensi e il via libera per eliminare oppositori del regime e migliaia di desaparecidos? Allo stesso modo nel 1969 una partita di calcio fu utilizzata come pretesto per scatenare una breve guerra tra El Salvador ed Honduras. Di esempi ce ne sarebbero altri comunque mi fermo qui. Allo stesso modo vorrei ricordare che lo sport permette anche il verificarsi di situazioni positive e gradevoli che uniscono ed accomunano gli uomini per la realizzazione di grandi progetti di convivenza pacifica e di riscatto socio-politico, nonché la promozione di iniziative benefiche a favore degli emarginati e delle persone sfortunate e bisognose di aiuti.
Vorrei concludere il mio intervento in modo breve, ma spero propositivo. Parlare della vicenda di Ducadam e della Steaua Bucarest mi ha dato la possibilità di imbattermi in un ambito specifico e se vogliamo anche marginale, ma comunque curioso, originale ed utile perché mi ha permesso di vedere la storia e l’operato politico di Nicolae Ceauşescu da un altro punto di vista, quello legato appunto allo sport, e nel caso in questione relativo al mondo del calcio. Nella storia dell’umanità i potenti hanno utilizzato le manifestazioni sportive per compiacersi e dilettarsi, ma soprattutto per ostentare al mondo intero la propria forza, la propria fama ed il proprio prestigio. Allo stesso modo si può anche azzardare che in certi frangenti lo sport decida gli equilibri della politica planetaria nel suo complesso. Certe decisioni vengono prese in base alle volontà delle grandi potenze e alla necessità di contenere gli squilibri a livello globale, come ad esempio, quando si tratta di decidere a quale città o a quale Stato assegnare l’organizzazione di un colossale evento sportivo, come appunto le Olimpiadi, i mondiali di calcio ed altri eventi di portata e di interesse internazionale. Attualmente il Presidente di una squadra di calcio può utilizzare il suo passatempo, o il suo giocattolo preferito, per aumentare i profitti ed il suo peso politico a livello sociale ed economico. I formidabili giocatori della Steaua, della seconda metà degli anni ’80 del secolo appena trascorso, che sono stati gli autori ed i protagonisti di quella tuttora irripetibile impresa, forse entrarono inconsapevolmente a far parte del grande disegno di egemonia totalitaria di Nicolae Ceaşescu e del suo entourage. Allo stesso modo comunque non si può negare che, dal punto di vista sportivo ed umano, quei semplici uomini e grandi giocatori abbiano recitato un ruolo straordinario di protagonisti di un’impresa di livello sublime, specchio di un calcio non ancora globalizzato e non ancora così strettamente ed inevitabilmente dipendente da oligarchie caratterizzate dai “petroldollari” di ricchi magnati o dalle infinite risorse di imprenditori esperti e padroni di imperi politico-economici sconfinati.
Ceauşescu, e sua moglie Elena, furono condannati a morte e fucilati dopo un processo sommario e frettoloso nel giorno di Natale in una caserma dell’esercito della città di Târgovişte.Il giorno dopo a quanto pare circa 16 tifosi romeni chiesero asilo politico alla Spagna manifestando chiaramente il desiderio di non rientrare in Romania.
Tra quelle persone figuravano ingegneri, operai, un economista ed un professore. Questa curiosa notizia è riportata in un articolo apparso sul quotidiano “La Repubblica” del giorno 9 maggio 1986.
Gli studiosi hanno individuato ed evidenziato diversi epiteti per la glorificazione di Ceauşescu, come per esempio: “il dolce bacio della terra nazionale”, “puro come la luce”, “la guida”, “il cuore”, “il pilastro di fuoco”, “il custode del Partito e della nazione”.
Ducadam era cresciuto in una famiglia operaia di origine tedesca. Nel 1986 aveva 27 anni, era sposato e padre di due figli. Ad un’intervista successiva alla strepitosa notte di Siviglia disse ai giornalisti di essere uno studioso di ingegneria meccanica e di avere la passione della costruzione di modelli di automobili. Con modestia affermò di non aver mai pensato di possedere la virtù del predestinato e di non aspettarsi particolari riconoscimenti in patria. Aggiunse inoltre di essere un ammiratore di Platini, ma soprattutto di sognare un giorno di poter giocare nella squadra della Dinamo Kiev.
Nel febbraio del 1987 la Steaua Bucarest (vincitrice della Coppa dei Campioni) e la Dinamo Kiev (vincitrice della Coppa delle Coppe) si affrontarono per la conquista della Supercoppa Europea, e quindi per stabilire quale fosse la squadra più forte del continente. Per la cronaca vinse la squadra romena per 1-0. Il marcatore fu Hagi, passato alla storia come il Maradona dei Carpazi ed eletto recentemente giocatore romeno del secolo. Fino al 1998 la Supercoppa Europea si svolse con partite di andata e ritorno, ma in quell’occasione romeni e sovietici si affrontarono in un’unica partita, ed in campo neutro per motivi politici, allo stadio Louis II di Montecarlo.
Assieme alla Romania è entrata anche la Bulgaria. Con questo ulteriore allargamento gli Stati che fanno parte dell’Unione Europea ora sono ventisette. Nel giro di tre anni il sommo organismo del continente ha visto l’adesione di ben dodici nuovi membri. La maggior parte di questi è rappresentata dagli ex Paesi dello scomparso sistema sovietico, i quali stanno cercando di superare il travagliato periodo della transizione democratica ed economica verso l’imitazione di sistemi di stampo occidentale e liberistico-capitalista.
S. Ercolani, Helmut Ducadam. Non credete a quello che vi raccontano, in Sfide. Lo sport come non l’avete mai letto, Rai-Eri Rizzoli, Milano 2006. Ducadam rilasciò una parte di queste testimonianze anche in un’intervista rilasciata alla trasmissione “Le partite non finiscono mai” che andò in onda su La 7 il 5 marzo del 2007.
D. Scaglione, Diritti in campo. Storie di calcio, libertà e diritti umani, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2004.
F. Foer, Come il calcio spiega il mondo. Teoria improbabile sulla globalizzazione, Baldini-Castaldi-Dalai, Milano 2007.
Davide Girardello
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TUTTI CONOSCONO DORANDO PIETRI....E CARLO AIROLDI?
Quest'anno ricorre il centenario della Olimpiade di Londra del 1908, diventata famosa per la maratona di Dorando Pietri, gara da lui prima vinta e poi persa perché - come ormai noto a tutti – fu aiutato a tagliare il traguardo niente meno che da Sir Arthur Conan Doyle, (l'inventore di Sherlock Holmes) dopo essere praticamente collassato a pochi metri dall'arrivo.
E molte sono le celebrazioni in memoria di questo minuto ma grandissimo atleta, diventato sicuramente, in quella gara, più famoso del vincitore.
Ricordiamo in proposito quanto si sta facendo nell'arco di questo anno a Carpi, sua città natale, che ha già organizzato mostre, convegni e che avrà altre manifestazioni anche importanti – vedi la staffetta del 11 maggio, la giornata mondiale del Centenario il 24 luglio, il Convegno medico scientifico dell'11 ottobre......(v. www.dorandopietri.it).
Ma accanto a questo importante nome di maratoneta italiano io vorrei associarne un altro, che pochi conoscono, ma che sicuramente a mio avviso è forse più mitico, se non altro per la storia romantica che lo vede protagonista.
Siamo alla prima Olimpiade, quella di Atene del 1896. E nella maratona, la specialità più prestigiosa, quella che chiude tutte le Olimpiadi, vince il greco Spiridon Louis; sorretto da una ovazione di applausi straordinaria, accompagnato nell'ultimo giro dello stadio addirittura dal principe Giorgio e dal principe ereditario Costantino, il piccolo pastore greco entra nella leggenda.
Ma tra la folla esilarante, che piange di gioia nel ricostruito stadio panatenaico di Atene, c'è un italiano con l'amaro in bocca: si chiama Carlo Airoldi.
E' un marciatore lombardo, che qualche tempo prima aveva peccato, avendo avuto in premio una manciata di pesetas come vincitore della Torino-Marsiglia-Barcellona. E questo peccato lo paga caro perché vede respinta l'iscrizione alla gara della prima maratona olimpica, appunto quella di Atene.
A nulla serve la sua insistenza nel cercare di dimostrarsi non professionista.
Chiede aiuto all'ambasciatore italiano in Grecia, Pisani -Bossi, che intercetta per lui presso il comitato olimpico, dimostrando, come in tutte le gare, si vinca qualcosa; e anche la famiglia reale greca, cerca di ammorbidire gli inflessibili giudici.
Ma non c'è nulla da fare.
E allora lui – che crede nelle fiabe - parte a piedi per dimostrare il suo spirito di atleta amatoriale e da Milano arriva a Dubrovnik; traghetta e poi sempre a piedi arriva fino ad Atene; il tutto in un mesetto!
Ma a nulla serve! E questa storia romantica non arriva a buon fine e l'esclusione di Airoldi viene confermata.
E così mentre Spiridon Louis diventa eroe, lui, Carlo Airoldi, resta illustre sconosciuto!
Ma anche se considerato non professionista, Spiridon Louis, dalla vittoria olimpica si porta in premio dieci anni di pasti in un noto ristorante, i servizi perpetui di un calzolaio, un appezzamento di terreno dalla comunità greca residente in Inghilterra, un cavallo con carro da parte del re Giorgio I, e “duclis in fundo”... una donna in sposa; regalo però mai accettato!
Chi dei due era più amatore o più professionista?
Giuseppe Barion
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RICORDI DI PECHINO 2008
Cala il sipario sulle Olimpiadi numero XXIX dell’era moderna. Il prossimo appuntamento sarà fra quattro anni a Londra. Cosa ci hanno lasciato le Olimpiadi cinesi? Molto: vittorie, record, speranze, delusioni, sofferenze, felicità, tante e tante emozioni. Tra i protagonisti assoluti troviamo due atleti del continente americano. Il nuotatore statunitense Michael Phelps ed il velocista giamaicano Usain Bolt. Il primo ha vinto 8 medaglie d’oro, delle quali 3 di staffetta, stabilendo ben 7 record del mondo, ponendo fine così al record stabilito dal connazionale Mark Spitz che vinse 7 medaglie d’oro (con altrettanti record del mondo) alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Il secondo ha vinto 3 medaglie d’oro (100 metri, 200 metri e staffetta 4x100 metri) stabilendo 3 record del mondo. Entrambi questi atleti sono diventati miti, leggende. Da una parte lo squalo, il cannibale di Baltimora, che già 4 anni fa ad Atene vinse 6 medaglie d’oro e che ora possiede la bellezza di 14 medaglie d’oro in 2 Olimpiadi…incredibile, immenso. Dall’altra l’uomo più veloce del pianeta, il fulmine splendente, che può addirittura migliorare…eccezionale, mostruoso. Dopo questi doverosi omaggi e complimenti vale la pena di vedere quello che è successo in Casa Italia. Il bottino è il seguente: 8 ori, 10 argenti e 10 bronzi. Peggio di Atlanta, Sidney ed Atene, ma meglio di Seul e Barcellona. Comunque 28 medaglie non sono poche ed un nono posto nel medagliere è più che soddisfacente, soprattutto se davanti alla Francia. Tra le imprese azzurre è necessario sottolineare quella della fiorettista Valentina Vezzali, terzo oro consecutivo nella prova individuale dopo quelli di Sidney ed Atene, formidabile, ed il trionfo di Alex Schwazer nella 50 km. di marcia. La sua vittoria è stata molto significativa dal punto di vista non solo sportivo, ma anche emotivo ed umano. Il ragazzo altoatesino non ha nascosto le emozioni ed i sentimenti durante e dopo la gara. Davvero commovente e…soprattutto…vero. Allo stesso modo resta importante la prestazione di assoluta forza e superiorità dimostrata dal pugile Roberto Cammarelle che porta il pugilato italiano di nuovo a livelli di prestigio. Nella spedizione azzurra qualche rammarico per le mancate medaglie negli sport di squadra e per il non invidiabile primato per le medaglie di legno, ben 14 quarti posti. D’altro canto cosa dire dell’organizzazione cinese? Impeccabile, anche a dispetto della censura e del pugno di ferro adottato di fronte ad attentati e minacce reali e/o possibili. La Cina d’altronde ha stravinto nel medagliere con ben 51 medaglie d’oro, mettendo dietro gli Stati Uniti, distanziati di ben 15 medaglie del metallo di maggior pregio, dando prova di una superiorità indiscutibile. Il grande drago dimostra perciò di essere una superpotenza economica e sportiva che può influire in modo decisivo negli equilibri politici mondiali attuali e futuri. Comunque sia, aldilà di queste considerazioni generali, quello che è piaciuto di più di queste Olimpiadi sono state quelle determinate situazioni che hanno permesso, grazie alle prestazioni sportive degli atleti e alle contingenze, di lanciare messaggi di pace e di distensione di fronte ai problemi attuali del mondo. Le Olimpiadi, infatti, come in passato, hanno dimostrato ancora una volta che lo sport è legato indissolubilmente agli eventi politici e sociali. Mi riferisco in particolare modo agli omaggi e ai pensieri di sostegno e solidarietà di fronte alla questione tibetana e dati al Dalai Lama ed al suo popolo nonostante il bavaglio cinese. A tal proposito alcuni nostri atleti con un grande gesto hanno voluto dare un forte segnale sulla questione del rispetto dei diritti umani e della situazione del Tibet, infatti, i canoisti Josefa Idem (argento) ed Antonio Rossi hanno voluto donare al Dalai Lama i loro body, come pure la fiorettista Margherita Granbassi (bronzo individuale e a squadre) la maschera da scherma ed il pugile Clemente Russo (argento) i guantoni. Allo stesso modo c’è stato modo di mettere in risalto la questione del conflitto russo-georgiano, e vale più di mille parole, e dei dibattiti e delle discussioni senza soluzione dei politici di Stato, l’abbraccio tra le due atlete della Russia (Natalia Paderina) e della Georgia (Nino Salukvadze), rispettivamente seconda e terza nella pistola 10 metri femminile, dimostrazione della rivelazione del valore olimpico. Peccato che le Olimpiadi si facciano ogni quattro anni, ma forse vale la pena di attendere così tanto perché sono un evento speciale, unico, sublime, inimitabile, perché danno spazio a prove e realtà umane, vere, positive, dove sembrano prevalere gli ideali, i gesti, i significati e le dediche per una vittoria, piuttosto che i premi ed i soldi e le squalifiche per il doping…o almeno preferiamo che sia così. Di una cosa però sono assolutamente sicuro…le Olimpiadi mi mancheranno. Quando finiscono provo sempre un po’ di tristezza, di malinconia, perché mi piace pensare di “invecchiare” con loro, di trascorrere ore e notti davanti alla televisione in loro compagnia, perché anch’io mi sento protagonista di un evento straordinario, unico, divino appunto…olimpico.
Davide Girardello
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REPORTAGE” DAL SUDAFRICA: ENHORABUENA! IL MONDIALE LO VINCONO LE
FURIE ROSSE!
Arrivederci Africa grazie di tutto. Quattro anni fa eravamo noi a far festa e che festa.
Questa volta tocca agli spagnoli che nel giro di due anni fanno indigestione di successi,
Europei e Mondiali. Ha vinto la squadra più forte, che ha mostrato il miglior calcio e dotata
del miglior collettivo; indubbiamente. D'altro canto le altre grandi hanno deluso. Parlo
soprattutto delle finaliste di Berlino (Italia e Francia).
Il loro è stato un Mondiale a dir poco
vergognoso.
L'Inghilterra non è ancora una squadra con la esse maiuscola. Capello dovrà
lavorare ancora molto. L'Argentina è arrivata fin dove ha potuto. Il Brasile ancora una volta
sopravvalutato e soprattutto più individualità che forza del gruppo. La Germania fra quattro
anni potrà dire la sua; intanto ha dimostrato di essere una delle più belle realtà. L'Olanda
ancora di nuovo ha mancato il gradino più alto del podio.
Tre finali giocate e tre sconfitte
(Germania nel '74, Argentina nel '78 ed ora nel 2010). Sorpresa inaspettata con l'Uruguay
e se il Ghana vinceva ai rigori nei quarti chissà... Per la prima volta una squadra europea
vince lontano dal vecchio continente e le stesse europee passano in vantaggio sulle
sudamericane in fatto di edizioni vinte, ora siamo sul 10 a 9 per noi. Onori alla roja
dunque, prima finale e vittoria storica.
Merito anche di una politica sportiva efficace e di
un'organizzazione efficiente attraverso la crescita e lo sviluppo dei vivai delle scuole
giovanili gestite dalle società sportive (le “cantere”). Aldilà di statistiche, gol dati e non dati,
errori arbitrali, le assordanti vuvuzelas, i giocatori dissidenti della Corea del Nord (o
presunti tali) in cerca di asilo politico, il polpo Paul, il pallone dalle traiettorie imprevedibili
Jabulani, la Waka Waka e la bellissima fidanzata di Casillas; quello appena concluso è
stato un Mondiale nel quale il continente nero non ha fallito, anzi, ha sfruttato l'occasione e
ha passato l'esame a pieni voti. Una buona organizzazione e tanto entusiasmo hanno
contribuito alla riuscita della manifestazione.
Sono stati fatti passare messaggi importanti e
significativi come la campagna contro le discriminazioni razziali con tanto di striscioni con
la scritta “Say no to racism”. Lo stesso Nelson Mandela, ex presidente del Sudafrica e
Premio Nobel per la pace, ha detto: “Lo sport crea speranza lì dove prima c'erano
disuguaglianza e disperazione e ha più potere perfino dei governi nello spezzare il muro
delle disparità e nel rompere le barriere razziali”.
Parole sagge Madiba, hai ragione, e
anche se i padroni di casa non hanno vinto, per un mese il loro Paese è stato protagonista
e al centro del mondo. Ciò ha dato la possibilità di mettere in luce alcuni problemi della
realtà peculiare sudafricana come la povertà e la miseria delle townships o le attività
scolastiche e sportive che missionari ed “eroi” organizzano e gestiscono tra mille difficoltà
per salvare i bambini dalla strada e dalla delinquenza.
I potenti si sono divertiti a vedere lo
spettacolo dei grandi campioni, adesso facciano qualcosa. Fatti! Basta belle parole e
pacche sulle spalle. Intanto sull'onda dell'entusiasmo il Sudafrica alza voce e si candida
seriamente per ospitare le Olimpiadi del 2020. Adiós!
Ci vediamo fra quattro anni in
Brasile. I Pentacampeões hanno il dente avvelenato e sono i favoriti d'obbligo. Vedremo
se sarà samba o un altro disastro del Maracanã.
Davide Girardello
Suggerimento bibliografico
G. MINÀ-D. PASTORIN, Storie e miti dei Mondiali, Panini, Modena 1998
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I delfini e lo sport…
Lo studiosoDanilo Mainardi ha segnalato un comportamento curioso di questi mammiferi, documentato in un video girato al largo della Hawaii.
Sono state riprese una trentina di stenelle, piccolo delfini, che stanno nuotando fianco a fianco; all’improvviso,come ci fosse stato un comando, rompono le file creando due squadre che si affrontano ad una distanza di dieci metri l’una dall’altra.
Ad un certo punto un delfino prende l’iniziativa e i componenti delle due squadre cominciano a disturbarsi a vicenda facendo evoluzioni, emettendo suoni e toccando gli “avversari”, con l’intento di scompigliare la formazione. La cosa si ripete più volte, sempre ripartendo da un allineamento iniziale.
Ci si è interrogati sullo scopo, che non è solamente ludico, ma che sembra di allenamento. Ma per cosa? La funzione sarebbe di creare una difesa intelligente contro gli squali, mettendo in essere una strategia di disturbo. Mainardi fa notare come ci sia un’intrigante analogia con gli sport di squadra umani..
Paola Fracasso
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